"Sport & vita" grande successo per l'evento firmato CSI Reggio Emilia
'Riva Luigi - Cagliari ai dì dello scudetto': dialogo tra il vescovo Camisasca e Stefano Baldini
Ci sono tanti modi per ricordare un mito, soprattutto per far sì che la figura leggendaria non ‘soffochi’ l’uomo che si cela dietro gesta straordinarie. Quella di ieri sera al Piccolo Teatro in Piazza di Sant’Ilario (piazza IV Novembre) è stata una serata per ricordare Gigi Riva, tra chi lo ha conosciuto di persona e chi ha condiviso la stessa dedizione allo sport professionistico. Vale a dire il vescovo Massimo Camisasca e Stefano Baldini.
Lo spettacolo di Cada Die Teatro attraversa la vita di Luigi Riva intrecciandosi ai ricordi di bambino dell’attore Alessandro Lay. ‘Riva Luigi ‘69 ‘70 - Cagliari ai dì dello scudetto’ parla di un calcio diverso. Il calcio di quando non ancora tutti avevano la televisione, lo strumento di aggregazione fondamentale per consolidare la nuova religione di Stato. Quando gli album Panini, tra colle e carta, diventavano tomi enormi e profumavano di conquista. Gigi Riva, lo stesso che scappava da tutti i collegi da ragazzino, che sognava l’Inter ma lo comprò il Cagliari. Lo stesso Riva che disdegnava la Sardegna, allora ben lontana dall'essere ‘Gerusalemme del Mediterraneo’, ma che poi trovò in essa il calore di una famiglia. Il ‘Rombo di tuono’, come lo chiamava Brera, che portò il Cagliari a vincere lo scudetto e rifiutò il contratto miliardario della Juve. Lo stesso che, a vent’anni come a settanta, rifugge il roboante ed enorme riflettore dei media. Che poi anche la gente per strada, non lo salutava per non disturbare, altro che selfie. Ma come abbiamo detto, quello era un calcio diverso.
«Il rapporto tra me e Gigi è sempre stato caratterizzato da grandi silenzi - ha raccontato il monsignor Camisasca -. Lui stesso è stato, come dire, educato alla parola tramite lo sport. Specialmente il suo rapporto con la Sardegna, è stato magico. Quella terra, quella gente ha riempito in lui un vuoto profondo, la famiglia di cui lui non aveva mai potuto godere». La realtà che circonda un atleta, come aiuto e sprone alla creazione del mito e, cosa ancora più importante, del campione. Il campione che comprende il valore del sacrificio, perché come ha considerato Baldini: «Nella vita, qualsiasi cosa succeda, bisogna continuare a correre. Laddove c’è comunità, di provincia come nel caso mio e di Riva, c’è più appartenenza e concretezza. Una realtà che è in grado di esaltarti ma sempre con la giusta misura».
Reggio si avvicina alla dimensione di un paese, pur mantenendo l’effettivo titolo di ‘città’. Il solo termine, stando alle ultime considerazioni, implica il rischio di dispersione. Dei valori, o più in generale la vista offuscata sui propri obiettivi. «E’ una questione di persone e scelte - ha affermato Baldini -, a me è andata bene anche perché ho avuto la fortuna di incontrare sul mio cammino chi ha valorizzato e non ‘spremuto’ il mio talento —. Anche perché, puntualizza il campione, «c’è sempre qualcuno più bravo di te, il valore educativo dello sport sta anche nel far comprendere questo aspetto. Non a caso, i ragazzi che fanno sport sono anche bravi a scuola: tendenzialmente sanno di non avere molto tempo da perdere, sono molto più capaci di organizzarsi».
«La speranza di un potere educativo dello sport non va mai persa, perché il male non è nello sport - ha aggiunto il vescovo -. Il male è il riverbero di un disagio più profondo, espresso dalla società. Lo sport insegna innanzitutto la conoscenza del proprio corpo e della propria corporeità, un argomento che sempre più attanaglia i giovani in una morsa di inadeguatezza. Nondimeno, esercita al sacrificio e all’abitudine di porsi una semplice domanda: “Per cosa ne vale la pena?”» .